Posidonio d'Apamea (ca. 135-50 a.C.), scienziato, filosofo stoico, geografo, etnografo e storico costituisce una delle personalità più complesse e più originali della cultura tardo ellenistica. Autorità stimata ed universalmente riconosciuta, egli esercitò una notevole influenza diretta ed indiretta tanto in ambiente greco, quanto anche in quello latino (da Cicerone a Seneca) e seppe rappresentare al meglio ed in sintesi le principali tendenze intellettuali dell'Ellenismo, ovvero l'enciclopedismo del sapere e la rigorosa specializzazione scientifica.
È proprio a Posidonio che si devono le più precise, anche se frammentarie, descrizioni dei Celti a noi pervenute nel mondo antico. Osservatore privilegiato di questo popolo a stretto contatto con i Greci e con i Romanie e testimone oculare della loro cultura, Posidonio compì una serie di viaggi nella Gallia meridionale in un periodo compreso tra il 101 e il 91 a.C., ovvero tra la vittoria romana dei Campi Raudii contro i Cimbri e prima dello scoppio del Bellum Sociale. Le osservazioni etnografiche di Posidonio, legato all'ambiente dell'aristocrazia senatoria romana degli optimates, dovevano probabilmente fare parte di un ampio excursus di matrice erodotea inserito nel XXIII libro delle sue Storie, concepite come ideale continuazione dell'opera di Polibio, e a noi pervenute solo per via indiretta e frammentaria. L'area geografica teatro delle esplorazioni posidoniane è presumibilmente quella delimitata dal territorio della città greca di Massalia (Marsiglia), fino alla regione degli Allobrogi ad est del Rodano e alle zone del Massiccio dei Cévennes, ad ovest del Rodano, fino al territorio dei Tectosagi nell'entroterra della provincia romana della Gallia narbonense, verso l'Aquitania. Non è improbabile che egli abbia potuto anche condurre un'indagine autoptica di territori limitrofi quali l'Arvernia orientale, mentre per quanto riguarda i Cimbri e, soprattutto, i Germani, che venivano ancora considerati un popolo di stirpe celtica, le informazioni sono indirette, derivate di seconda mano dai racconti degli ufficiali, dei soldati romani e dai mercatores italici della regione cisrenana.
L'indagine geo-etnografica di Posidonio riguarda molti aspetti della cultura dei Celti della fine del II secolo a.C.: il banchetto e gli usi alimentari, le forme di dipendenza servile, le armi e gli usi guerreschi, la musica e la religione druidica, passando attraverso osservazioni relative all'identità etnica, alle categorie antropologiche ed alla struttura dei sistemi socio-economici dei clan tribali.
Per quanto riguarda la musica le osservazioni di Posidonio si incentrano da una parte sul ruolo sociale del cantore e del bardo che accompagnava il capo-clan e lo celebrava pubblicamente durante i banchetti in cambio di una generosa ricompensa. La libertà di cui godeva il bardo era tale che poteva anche permettersi versi satirici ed irrispettosi. Dall'altra parte risultano alcune descrizioni di strumenti musicali, molto essenziali, tra le quali spicca il celebre carnyx decorato con figure zoomorfe.
Ciò che possiamo leggere di Posidonio riguardo ai Celti e ai Cimbri è riportato prevalentemente da altri autori: da Ateneo, da Diodoro Siculo, da Strabone e da Plutarco ed inoltre un'importante questione ancora aperta è rappresentata dall'influenza posidoniana esercitata sulla digressione etnografica del VI libro del De bello Gallico cesariano. Lo studio che qui si propone da un punto di vista metodologico corre, si potrebbe dire, su tre distinti binari paralleli, ovvero per primo l'analisi del confronto tra la testimonianza posidoniana e la consolidata tradizione letteraria dei tópoi etnografici precedenti nella letteratura greca e, soprattutto, nel caso di quella latina con la Germania tacitiana, successivi, quindi l'attenzione rivolta all'uso estremamente frequente da parte di Posidonio di una griglia interpretativa epico-omerica per rappresentare l'alterità barbarica, secondo la concezione già tucididea per cui i barbari contemporanei ai Greci (e ai Romani al tempo di Posidonio) sarebbero stati simili ai Greci arcaici, cioè agli Achei dell'epica, ed infine per ultimo il tentativo di mettere in correlazione i riferimenti celtici di Posidonio con alcune descrizioni presenti nella tradizione poetica medievale gaelica per sottolineare la sorprendente attendibilità storica del resoconto etnografico posidoniano, elaborato ben prima del celebre diario militare di Giulio Cesare, conquistatore della Gallia, e che presenta interessanti affinità e corrispondenze con il mondo arcaico dell'Irlanda delle saghe eroiche.
Presentazione presso il DARFICLET della Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Genova il 5 giugno 2012.
Relatori: Prof. Mauro Corsaro (Storia Greca. Università di Catania), Prof. Arnaldo Marcone (Storia Romana. Università Roma Tre) e Prof. Francesco Surdich (Storia delle Esplorazioni geografiche. Università di Genova).
Il Giornale di un viaggio dell'abate gesuita di Ragusa di Dalmazia (Dubrovnik) Ruggiero Giuseppe Boscovich, pubblicato nel 1784 in italiano, copre il periodo di tempo che va dal 24 maggio al 15 luglio 1762 e descrive il tragitto Costantinopoli - Polonia (l'ultima tappa è la località polacca di Cameniec, in direzione di Varsavia), compiuto dal Boscovich stesso in compagnia dell'ambasciatore inglese a Costantinopoli William Porter. Dopo avere, infatti, soggiornato in Costantinopoli dal novembre 1761 al maggio 1762, dove era giunto spinto dal desiderio strettamente scientifico di osservare un passaggio del pianeta Venere, Boscovich allora in cattive condizioni di salute intraprese un difficile, quanto affascinante viaggio di ritorno attraverso la Tracia, la Bulgaria, la Rumelia e la Moldavia per giungere infine in territorio polacco.
Il resoconto del viaggio costituisce un documento storico di notevole portata, poiché rappresenta una rara testimonianza diretta di Paesi dell'Europa orientale danubiana ancora poco conosciuti ai viaggiatori occidentali del XVIII secolo. Il Boscovich in tal modo, infatti, si inserisce a pieno titolo nella ricca tradizione italiana settecentesca degli scrittori di viaggio (per la sola Europa orientale basti pensare all'Algarotti, a Giovanni Battista Casti e a Saverio Scrofani) e le sue descrizioni etnografiche, unite soprattutto a brillanti riflessioni linguistiche e culturali, si segnalano per precisione, originalità ed acutezza.
L'opera del Boscovich descrive nei dettagli e con la cura propria di uno scienziato una realtà culturale turco-slavo-romena che a metà ‘700 era ancora piuttosto marginale. Solamente un'altra opera, infatti, di poco precedente a quella dello scienziato raguseo, il Viaggio in Dalmazia dell'abate Alberto Fortis (Venezia, 1774) tentò di descrivere i costumi e l'identità culturale delle popolazioni morlacche della Dalmazia, diventando ben presto uno straordinario caso editoriale internazionale. Il Viaggio del Fortis, come è noto, grazie all'interesse di cui fu oggetto e alle traduzioni nelle maggiori lingue europee ed alla grande diffusione che ebbe, permise all'Europa occidentale di avvicinarsi alla cultura del mondo balcanico (e slavo meridionale in generale).
Il viaggio del Boscovich certo non godette di tale fortuna, tuttavia è indubitabile l'importanza del valore documentario delle testimonianze in esso contenute che vanno dai villaggi greci e bulgari delle campagne amministrate dalla Porta ottomana, alle coste moldave del Mar Nero fino al confine polacco. Di particolare rilievo sono le descrizioni geo-etnografiche, le riflessioni linguistiche (numerosi termini slavi e turchi), le annotazioni socio-culturali. Da segnalare le descrizioni dei traffici commerciali alla foce del Danubio, i villaggi bulgari con i popi ortodossi, la corte del Principe greco di Moldavia a Jassi, la difficoltà degli spostamenti per le pessime condizioni delle strade, gli arbitrii dei funzionari turchi durante il viaggio, l'attività religiosa e culturale gesuitica e francescana, i riferimenti alle comunità ebraiche ed infine alcune considerazioni prettamente scientifiche relative a misurazioni di longitudine e latitudine per apportare miglioramenti alla carta del geografo Rizzi Zannoni e al cannocchiale Dollond presentato di persona al Principe di Moldavia nel suo gabinetto di Palazzo a Jassi. In particolare emerge nella seconda parte della monografia la descrizione del territorio e della storia recente (metà Settecento) della Moldavia con interessanti riflessione di carattere linguistico e culturale-sociologico.
Di un certo interesse, infine, la Relazione delle rovine di Troia, visitata nel settembre 1761, ben prima dunque dei viaggi di Lazzaro Spallanzani e di Jean-Baptiste Lechevalier e 110 anni prima delle celebri scoperte di Heinrich Schliemann. La descrizione fu aggiunta come un'appendice al Giornale stesso ed in essa vi si trova anche un'erudita analisi di un'epigrafe latina d'età imperiale ritrovata ad Alessandria di Troade e contenuta nel Corpus Inscriptionum Latinarum (CIL III 1).