Marco Martin

Pubblicazioni

  1. Lo scopo del presente saggio risiede nel tentare di offrire una panoramica di fonti documentarie greche e latine relative alla funzione del dono e del controdono nella civiltà celtica attraverso l’esame di alcuni aspetti sociali: a partire da due episodi di liberalità di capi celti tratti dalla storiografia ellenistica che descrivono il banchetto distributivo come strumento di consolidamento del potere nella comunità tribale, fino alla pratica del dono-poema vincolante della società gaelica medievale, il suicidio come atto di controprestazione suprema alla conclusione della sfida che comporta anche la distruzione del dono suntario e la forma di scambio “ineguale” regolato dalle consuetudini della gift economy, attraverso il confronto con il celebre episodio iliadico dell’incontro tra Glauco e Diomede in Iliade, VI, 119-149.
  2. Nel panorama dell’etnografia tardo-settecentesca ed in particolare di quella dedicata alle Americhe si distingue per la sua finezza uno scritto di Volney redatto come un’appendice (l’articolo V) al saggio scientifico Tableau du climat et du sol des Etats-Unis, pubblicato nel 1803. Volney, membro dell’American Philosophical Society, intraprese il suo viaggio nel 1795 e visitò per tre anni l’intera fascia orientale degli Stati Uniti fino all’Ohio ed al Mississippi. Il testo sugli Indiani d’America, nella cornice di un’intervista con il sachem della tribù dei Miami Michikinakoua-Petite-Tortue, si presenta come un intervento militante all’interno del complesso dibattito culturale che aveva contrapposto nel XVIII secolo i teorici e difensori dello stato di natura ai critici della primitività. Volney per gli indigeni rifiuta l’idealizzazione del bon sauvage e cerca di delineare un quadro antropologico che rispetti l’identità, ma sottolinei l’alterità degli Indiani rispetto alla civiltà europea. Il trattato è caratterizzato dall’uso del confronto tra i costumi degli Indiani ed il mondo omerico dell’epica: i primi, infatti, richiamavano alla memoria quelli dei Greci di Omero in un tentativo di impiegare la letteratura greco-romana in funzione della science de l’homme.
  3. Nel saggio Osservazioni di Giovanni Lovrich sopra diversi pezzi del Viaggio in Dalmazia del Signor Abate Alberto Fortis coll’aggiunta della Vita di Soçivizza del 1776 Giovanni (Ivan) Lovrich (Lovrić), nato nell’entroterra di Spalato nel 1754 e lì morto nel 1777 ucciso dalla tubercolosi, rivolse contro l’abate padovano delle critiche molto severe. Lovrich, medico laureatosi a Padova come Fortis, rispose al Viaggio in Dalmazia con un polemico testo con il quale egli intendeva correggere Fortis per quanto riguarda molte informazioni. Intento principale di Lovrich è il ridimensionamento della raffigurazione fortisiana improntata all’immagine del morlacco bon sauvage da integrare con consapevolezza all’interno dell’amministrazione veneta. Egli fa leva sulla personale conoscenza del croato (lingua madre) per correggere errori e imprecisioni di Fortis, sottolinea anche sviste geografiche e procede con la spiegazione di diversi aspetti della società morlacca.
  4. Riguardo alle tormentate vicende della Questione del Confine Orientale e dell’Esodo Giuliano-Dalmata nello specifico, ciò che ancora colpisce in modo particolare è la profonda ignoranza da parte della maggior parte della popolazione italiana della storia della presenza di Italiani autoctoni in Istria, nel Quarnaro e, anche se oggi in misura molto più ridotta, in Dalmazia. Tutto questo ha delle cause piuttosto evidenti e una serie di responsabilità pluridecennali. Oggi più che mai si avverte la rinnovata esigenza di inserire il dramma nazionale delle foibe all'interno di un contesto storico-culturale molto più ampio ed articolato che abbracci l'intero arco temporale della millenaria storia romana-veneta-italiana e, ovviamente, slava delle terre dell'Adriatico orientale. All'interno dunque delle attività didattiche nelle scuole bisognerà sempre più trovare l'adeguato spazio di approfondimento e di conoscenza del grande retroterra storico nel quale gli eventi che hanno condotto all'Esodo giuliano-dalmata devono essere inseriti per una consapevole e reale formazione storica degli studenti. Oggi, sulla scia di un rinnovato interesse collettivo, trattare a scuola la questione del Confine Orientale e gli eventi dell’Esodo giuliano-dalmata senza un’azione didattica strettamente culturale (e storico-linguistica) rischia di rivelarsi un’operazione non efficace quanto, invece, l’importanza del tema esige e pretende.
  5. Un aspetto della cultura come la musica, intesa come presenza di strumenti o tipologie di canti e come eventi sonori di varia natura non poteva non suscitare l’interesse di Erodoto, anche se egli non dimostra un’attenzione sistematica per essa nelle sue Storie. Solo occasionalmente, infatti, si ha la testimonianza di strumenti musicali e di eventi sonori, sempre sottolineando la sua dimensione socio-culturale all’interno di feste e i rituali religiosi tanto di popoli stranieri, quanto di città greche. I riferimenti musicali delle Storie sono i seguenti: i lamenti funebri (threnoi) babilonesi simili a quelli diffusi in Egitto (I 198), al quale egli dedica l’intero II libro con tre precisi accenni alla musica. Il primo riguarda la descrizione di una falloforia in onore di Dioniso, l’Osiride itifallico in II 48, il secondo riguarda la festa in onore della dea Bastet (assimilata ad Artemide) in II 60 ed il terzo è dedicato ad un canto egizio chiamato Lino, noto anche in Grecia (II 79).
  6. Il termine illirico conduce attraverso voli di almeno due millenni di storia e di attestazioni documentate dalle popolazioni dell’area balcanica a ridosso della penetrazione coloniale greca e dell’imperialismo romano fino alla sovrapposizione con le realtà culturali e linguistiche slavo-meridionali in area adriatica ed in seguito in ambito linguistico albanese. Tanto che l’illirica regina Teuta, irriducibile nemica della respublica romana, è potuta assurgere a duraturo simbolo letterario di un movimento come quello croato dell’Illirismo in pieno Ottocento e compare in numerose rappresentazioni scultoree e pittoriche come simbolo dell’Albania alla pari della figura dello Skanderbeg. Certamente nella percezione del mondo greco e romano le regioni illiriche erano venute a costituire un’ampia quanto indefinita realtà geografica dell’Europa sud-orientale ed allo stesso modo con la progressiva sovrapposizione del termine illirico al mondo slavo meridionale, soprattutto in ambito veneziano, l’identità illirico = slavo, complice la forte suggestione esercitata dalla scoperta da parte dell’Europa occidentale dell’universo della cultura poetica popolare serba e croata a cavallo tra il XVIII e il XIX secolo, si mantenne viva almeno fino alla metà dell’800 per essere poi ridimensionata con l’affermazione del movimento dell’Illirismo con le sue peculiari specificità e per confluire, infine, in ambito culturale prettamente albanese.
  7. This essay shows the interest about Dalmatia and the border zones of Eastern Adriatic Sea through the critical study of the monography La Dalmazia. Cenni geografici e statistici, Novara, 1918 with maps by Giotto Dainelli and the article Spalato e la questione dalmatica, in Quaderni Geografici, I, n.5, Novara, 1918 by Ireneo Sanesi. The first one is a valuable collection of statistic data and important maps of the Dalmatia at the end of the First World War and the second one is a short report about the presence and the identity of Italian people in that region and in particular way in Split, the main town of Central Dalmatia with Zadar. The Italian Geography after the War helps study this land of former Austrian-Ungaric Empire that from the late decades of XIX century had lived a difficult political situation between Slavic peoples, Italians and Austrian Authority and that, anyway after the First World War too, was in a condition of a victory (of Italian Army), but without peace.
  8. Italy had its adriatic diaspore in XX century too, part of Eastern Border Question. The leading characters are Italians from Histria, Fiume (Rijeka) and Dalmatia and the main events are: the Treaty of Rapallo (1920) and the Exodus of Italian people from these lands with particular reference to the Peace Treaty of Paris (1947). The History of Italian communities of Eastern Adriatic Sea was a period of our culture, during the centuries of Venetian power until the end of XVIII century and through the Austrian Empire in XIX century and through hole the XX century with the new Slavic states born after the world wars. Today inside the EU it is necessary to preserve this historical identity for the improvement of the relationships between people by means of mutual respect.
  9. The Hellenistic fragmentary Historiography presents two sources very useful to compare about Celtic customs. Posidonius of Apamea describes the prodigality of the Arvenian chief Louernius (Athen., IV 152d-f) and this is confirmed by Strabo (IV 2,3) and focuses on a big feast-banquet he offered to the community. This episode offers the following reasons for interest: the central role assigned to the banquet as founding element of the Celtic society and of the social-economic relationships concerning the redistribution of wealth and the reference to the masses of clients surrounding the chief. Such a banquet finds a parallel evidence in the description of Phylarchus (FGrHist 81 F 2 =Athen., IV 150d-f), as for the feast organised by the Galatian chief Ariamnes. As for the presence of clientage relationships, the Celtic banquets were the pivot of an economic system: the accumulation of goods needed for distribution, carried out at feasts, mainly derives from war booties, that is by the raids against other populations. In any case, the accumulated goods were then redistributed to build a rooted social bond with the lower ranks of society.
  10. The Greek ethnonym Romanoi, unique of its kind with the meaning of Latin settlers of Dalmatia is quoted in the Administrando Imperio of Constantine Porphyrogenitus many times and it is used in a very different way compared to the name Romaioi, used, as well known, for all the subjects of the whole Byzantine Empire. The Romanoi are the colonists sent by Diocletian from Rome to Dalmatia and this Latin identity is confirmed in the history until the Venetian domination and the last years of Austro-Hungarian administration of Dalmatian coast. So examples of this Italo-Venetian culture are the observations of German historian Theodor Mommsen and Italian scholar of Linguistic Matteo Bartoli between the 19th and the 20th century. It is also interesting to point out that Yugoslavian Nobel Prize 1961 Ivo Andrić in his famous novel The Most on the Drina (Na Drini Ćuprija) speaks about Dalmatian stone-cutters called by musliman people of Bosnia by the old name of Roman Masters.
  11. Il resoconto di viaggio La Dalmazia romana-veneta-moderna. Note e ricordi di viaggio, L. Roux e C. Editori, Torino-Roma, 1892 dello zaratino Giuseppe Modrich costituisce un efficace diario di ritorno nella terra natìa, descritta con ricchezza di dati documentari e con testimonianze di notevole pregio culturale. Sulla scia, infatti, del Viaggio in Dalmazia dell’Abate Fortis del secolo precedente, si snoda un ampio repertorio di descrizioni di tipo geografico, artistico ed etnografico di un viaggio compiuto nel 1891 su un piroscafo salpato da Pola ed attraverso i frastagliati arcipelaghi adriatici, dove ai margini mediterranei del grande Impero austro-ungarico si manifestano nella loro secolare bellezza le città di Zara, Sebenico, Spalato e Ragusa con i rispettivi litorali e con le magnifiche isole ancora appartenenti ad un mondo arcaico e suggestivo. L’entusiasmo dell’autore che accompagna il lettore attraverso un ambiente di forti contaminazioni culturali linguistiche per farlo conoscere ed amare dal vasto pubblico sembra anticipare, tuttavia, senza spirito di polemica, l’appassionata inchiesta giornalistica di Hermann Bahr dedicata alla Dalmazia, lontana provincia testimone dell’ormai prossimo Finis Austriae.
  12. This original travel report describes the stops of an adventurous back journey, from the Turkish capital to Polish borders, carried out by Boscovich from May to July 1762 with English ambassador in Constantinople William Porter. We can read this book as an historical document with many interesting information about countries in Eastern Europe not so much known for western travellers, as Boscovich was in the middle of XVIII century. So through Thracia, Rumelia, Bulgaria and Moldavia, Boscovich analyses an hidden part of great Turkish Empire and becomes eye-witness of Turkish vilajet, slavic villages, Greek orthodox churches, the country of Moldavia until the coasts of the Black Sea with its interesting international trade; during his travel he tries to understand words and realities very different from Western Europe's customs. In fact this report shows in particular a deep interest on linguistic matters and, above all, accurate descriptions about survey of latitude and longitude and the telescope of Dollond. Actually, the reason of this journey was the observation of the passage in the sky of Venus. So Boscovich, thanks to this report, can be fit into the rich Italian tradition of travel writers in the Eighteenth century, because his bright observations must be underlined for precision and sharpness. In short, the scientist from Ragusa of Dalmatia wrote a little description about the archeological ruins of the town of Alexandria in Troade even 110 years before Schliemann.
    Pubblicato in rete su www.ageiweb.it come Atti del Convegno a cura di F. Salvatori, AGEI, Roma, 2019.
  13. Il saggio presenta una rassegna di testi e di riflessioni sui testi con lo scopo di ricostruire le vicende culturali e linguistiche che hanno prodotto le prime significative rappresentazioni dei Morlacchi-Vlasi dell'interno della Dalmazia a partire dalla principale testimonianza costituita dal Viaggio in Dalmazia dell'abate padovano Alberto Fortis fino alla formazione di una vera e propria moda letteraria europea che ha visto autori ed intellettuali quali Goethe, Herder, Mérimée, Nodier, Pushkin e numerosi altri, compresi Tommaseo e D'Annunzio, interessarsi al mondo illirico dei Balcani occidentali. Si prendono quindi in esame l'articolo Il morlacchismo d'Omero di Giulio Bajamonti per le sue implicazioni legate all'estetica e alla filologia di stampo vichiano, le testimonianze di Ivan Lovrich e di Carlo Gozzi, polemico contraltare al Viaggio fortisiano, ed infine la fortuna delle traduzioni europee della celebre Asan-aghiniza, il testo "illirico", ovvero in in lingua originale serba (Xalostna pjesanza plemenite Asan-Aghinize). La poesia, d'ambiente turco (infatti Asan è un capitano turco e la storia si svolge ad Imotski in Dalmazia meridionale, ai confini con l'Erzegovina) godette di una fortuna immediata, poiché nel 1775, appena un anno dopo la pubblicazione del Viaggio in Dalmazia, fu tradotta da Goethe (Klaggesang von der edlen Frauen des Asan Aga, aus dem Morlackischen) e da Herder, che nel 1778 la inserì nei suoi Volkslieder, insieme ad altre tre canzoni morlacche. Inoltre essa ed altri componimenti morlacchi suscitarono l'interesse di diversi ed importanti intellettuali europei che scoprirono il mondo esotico e primitivo dei Morlacchi, come Charles Nodier, il quale, impressionato dalle descrizioni del Fortis, ambientò il proprio romanzo Jean Sbogar, pirata definito un simple aventurier morlaque proprio in Dalmazia; Sir Walter Scott che tradusse i canti in inglese; Prospere Mérimée, che nel 1827 intitolò una sua raccolta di racconti Guzla, utilizzando il termine tecnico usato per indicare lo strumento a corda morlacco, (inoltre Mérimée scrisse anche altri tre racconti morlacchi: Le Heyduque mourant, Le Ban de Croatie e Le fusil enchante); ed infine anche i fratelli Grimm. A questi, non ultimo, deve essere aggiunto naturalmente il dalmata Niccolò Tommaseo, che incluse la fortunata poesia ed altri testi nella sua raccolta dei Canti popolari illirici. Fortis aveva comunque già registrato nel Saggio d'osservazioni sopra l'isola di Cherso ed Osero, due canti popolari, esempi di poesia dalmata, il canto di Milos Cobilich e quello di Vuko Brankovich, esempi di traduzione ispirata all'ossianesimo diffuso dal Cesarotti, ammirato tra l'altro dallo stesso mecenate di Fortis, Lord Stuart. Il tutto per sottolineare la fortunata diffusione di una vera passione esotica letteraria che nel giro di pochi decenni tra XVIII e XIX secolo è diventata una moda di originale interesse europeo.
  14. Paduan scientist Alberto Fortis is one of the most influential Italian travel-writers of Enlightenment. His report about Dalmatia and its landscapes, islands, coasts and an unknown hinterland inhabited by so-called Morlacchian people, Viaggio in Dalmazia, was published in 1774 in Venice and got a never seen success through Europe with important translations in German, English and French languages. Fortis describes wild nature and historical places of Roman Illyria: countrysides of river Krka with its falls, the stream of river Cetina with stones and minerals. He wants to write an accurate report about Dalmatia to persuade Venetian Government to improve the administration of that land on the other side of Adriatic Sea and to show how interesting are the customs of Morlacchian people, a wild and almost primitive people, a kind of bon sauvage described with admiration because of bravery in battle, behaviours, hospitality and habit to epic sagas and traditional songs as Xalostna pjesanza plemenite Asan-Aghinize, become famous in a short time and translated by authors as Goethe, Herder, Mérimée and Tommaseo. Fortis is not only a skilled ethnographer, but also a pleasant writer who introduced Dalmatia and the Balkans into European knowledge of the end of XVIII century.
  15. Il contributo intende delineare le caratteristiche dell'approccio alla questione dalmatica del geografo Giotto Dainelli, attraverso l'esame della monografia La Dalmazia. Cenni geografici e statistici, Novara, 1918 e delle carte dell'Atlante a confronto con l'opera di Ireneo Sanesi Spalato e la questione dalmatica, in Quaderni Geografici, Anno I, n.5, Novara, 1918. Relazione quest'ultima che costituisce una testimonianza dell'interesse rivolto a Spalato nell'ambito del dibattito sul confine orientale e sui limiti della presenza italiana in Dalmazia e che utilizza i dati demografici (1880-1910) raccolti proprio dal Dainelli per la conoscenza dei nuovi rapporti di forza regionali che si stavano delineando nell'immediato dopoguerra. La geografia italiana delinea le coordinate per una regione che dagli ultimi decenni del XIX secolo viveva una situazione di grave conflitto (Italiani, Slavi e autorità austriaca) e che, dopo la Guerra, si veniva a trovare in una condizione di "vittoria senza pace".
  16. Ad Alberto Fortis (1741-1803), naturalista e geologo padovano, allievo del Cesarotti, autore del resoconto geo-etnografico Viaggio in Dalmazia (Venezia, 1774), che gli assicurò un'immediata risonanza europea grazie alla celebre descrizione dei Morlacchi dell'entroterra dalmata, si deve una descrizione ampia e dettagliata del corso dei fiumi Kerka (Krka) e Cettina (Cetina). Tale approccio alla tematica dei fiumi parte da un interesse marcatamente scientifico (geografico e mineralogico) per approdare a riflessioni di tipo storico-letterario e a considerazioni linguistiche ed onomastiche attraverso l'indagine di fonti storiche greche e latine ed il confronto, spesso polemico, con la trattatistica italiana precedente. La competenza dimostrata con il mondo slavo meridionale permette al Fortis di delineare in una prosa scorrevole e nitida un quadro molto attendibile, nel quale l'immaginario letterario del fiume si salda alla precisione descrittiva di chiaro stampo illuministico. I due corsi d'acqua (Kerka e Cettina) superano, dunque, nell'esposizione del Viaggio in Dalmazia la tradizionale immagine della frontiera e della divisione (il confine tra il mondo civilizzato europeo latino-veneto e quello ignoto "barbarico" turco-islamico della Bosnia-Erzegovina, le vojne krajine, che già a sua volta si innestava sull'antico limes militare illirico-balcanico dell'Impero Romano) per venire a costituire un elemento di conoscenza e di arricchimento culturale e civile nell'indagine di quelle aree del dominio veneziano che nella seconda metà del XVIII secolo si trovavano ancora in condizioni di notevole arretratezza.
  17. Celtic World was characterized by an important presence of the patronage-relationship and this is given evidence by ancient Greek and Roman sources for Continental Celts (Athaeneus, Diodorus, Strabo, who quote Posidonius'descriptions, and Caesar) and by the Gaelic sagas of Middle Age for Ireland. The Greek and Roman sources about Celtic peoples describe two main kinds of forms of servants or patronage-relationship: the followers called parasitoi, banquet companions and the ambacti-therapontes, a faithful armed retinue of Celtic aristocracy (as solduri devote in Caesar or the comitatus in Tacito's Germania). The deep relationship between chief and these followers clients is showed in many aspects of social life: they accompany their chief in the battle and in peace time they take part on feasts or banquets, important popular event in which booty is shared out to the warriors and to servants in accordance with a defined social hierarchy. Servants show faith (the old Germanic Triuwe) and social duties and chief-warriors show patronage for maintenance of prestige of themselves. Always in Athenaeus we can read the description of the generosity of the Arvernian chief Luernios to boast wealth and prestige (Athen., IV 152d-f and Strabo, IV 2,3). The Arvernian prince shows a liberalitas similar to that of the German chiefs described by Tacitus (Germ. XIV 4) that he expresses during a great feast-banquet through the distribution of gold and silver to the guests. This episode offers manifold reasons for reflection: the central role attributed to the banquet, a social occasion to display wealth and distribute goods to consolidate the social-economic relationships between chief and clients, the characterisation of the patronage masses, the dramatic fictional representation of the Arvernian chief. This description finds a confirmation also in the fragment of the historian Phylarcus concerning the Ariane, the Galatian chief (FGrHist. 81 F 9 =Athen., IV 150d).
  18. La concezione del progresso elaborata nel mondo antico (greco e romano) è passata attraverso varie fasi e nel suo sviluppo storico ha assunto forme naturalmente differenti con la creazione e l'uso di una terminologia sempre più specifica per indicare il progredire della civiltà. Ferma restando la necessità di avere sempre ben chiaro che cosa si intende per progresso, ovvero quale gamma di significati si attribuisce a questo concetto, la riflessione moderna ha seguito almeno due filoni decisamente distinti e contrapposti sul tema in questione per quanto riguarda il mondo antico. Uno si potrebbe definire negazionista, un orientamento secondo il quale gli Antichi non avrebbero mai posseduto una chiara coscienza del proprio passato ed avrebbero, d'altro canto, elaborato una concezione ciclica del tempo, influenzati dall'idea della decadenza delle civiltà. L'altro filone, invece, ha individuato delle evidenti tracce della presenza dell'idea di progresso, attribuendo agli Antichi una lucida consapevolezza tanto del passato, quanto della percezione del tempo, dello sviluppo delle conoscenze, delle arti, della scienza e nel complesso della condizione umana, soprattutto materiale, in una visione lineare del tempo con la fiducia in un progressivo miglioramento. In conclusione si può, quindi, affermare che l'idea di progresso nel mondo greco-romano non sia affatto assente, ma è altrettanto vero che la presenza dei due grandi "miti" anti-progressivi dell'eterno ritorno e dell'età dell'oro, la costante tendenza generale conservatrice della cultura e della società antiche ed infine l'archetipo categoriale costituito dalle idee platoniche hanno rappresentato un deciso ostacolo all'affermazione di una concezione del progresso paragonabile a quella del mondo moderno. Anche in questo aspetto della speculazione intellettuale, tuttavia, il mondo classico è riuscito ad elaborare riflessioni e modelli di straordinaria vitalità.
  19. Ammiano Marcellino è un testimone prezioso di uno dei periodi più complessi e cruciali della storia romana, ovvero il IV secolo. Nato non molto prima del 333, Ammiano si definisce un ingenuus (XIX 8,6) ed appartiene ad un'agiata famiglia di Antiochia di Siria, ricco centro commerciale di origine ellenistica (XIV 8,8 e XIX 8,6) e crocevia a anche culturale, infatti è di origine antiochena la prima comunità di pagani convertiti al cristianesimo (Act. Ap. XI 26). E' un greco provinciale, dunque, ed entra piuttosto presto a far parte della Guardia Imperiale, i protectores domestici, l'élite dell'esercito romano, e dal 353 è alle dipendenze del magister equitum dell'Oriente Ursicinus. Quest'ultimo viene richiamato da Cesare Gallo dalla Mesopotamia Le Res gestae erano costituite da trentuno libri e si presentavano nell'intento storiografico di Ammiano come naturale continuazione delle Historiae tacitiane, prendendo inizio dal periodo del principato di Nerva (96) alla morte dell'imperatore Valente nella battaglia di Adrianopoli contro i Goti (378). I primi tredici libri, che comprendevano gli anni dal 96 al 352 sono del tutto perduti, mentre i libri conservati (dal XIV al XXXI) trattano in realtà un periodo molto più breve, e cioè gli anni dal 353 al 378, il che evidenzia un interesse specifico di Ammiano per la storia contemporanea e per gli eventi dei quali egli è stato testimone per lo più diretto. Notevole sia da un punto di vista contenutistico, sia per la struttura narrativa e stilistica dell'opera la presenza di numerosi excursus, spesso etnografici. L'intera opera è ben inseribile in un contesto culturale che fa riferimento alla rinascita pagana che ebbe i suoi principali fautori nell'aristocrazia senatoria e la cui migliore testimonianza sono i Saturnalia di Macrobio e risulta una trattazione redatta da un greco affascinato da Roma e che ammira le istituzioni romane e destinata a membri dell'aristocrazia cittadina. Ammiano risulta, dunque, legato all'attualità e a singole esperienze autoptiche, a loro volta ben identificabili con personaggi di spicco, come l'imperatore Giuliano. Tutti i libri conservati, infatti, si fondano sull'esperienza personale di appena venticinque anni.
  20. La questione morale della conquista territoriale e della legittimità della repubblica imperiale si trova chiaramente esposto nel III libro del De republica di Cicerone, nei discorsi antitetici di Furio Filo e di Caio Lelio. Il primo riproduce nell'essenza le tesi espresse da Carneade e pronunciate in occasione dell'ambasceria dei filosofi greci a Roma del 155 a.C., come lo stesso Filo dichiara, e riguarda il problema della giustizia e della sua applicazione agli affari di politica estera. Il secondo, invece, espone la tesi della giustificazione dell'imperialismo romano, basata sulla concezione del diritto di natura: e secondo l'ipotesi accolta da molti studiosi si presenterebbe come una polemica risposta ispirata al filosofo stoico Panezio. Tenuto necessariamente conto del valore della testimonianza ciceroniana e della portata della sua attendibilità, in quanto essa si manifesta come opera con un marcato tratto di artificiosità nella pretesa rievocazione di una disputatio (immaginata nel 129 a.C.), e considerato anche il tipo di genere letterario di tradizione platonica, ciò porta a riflettere sul fatto che l'autore tenda ad attribuire sue idee personali ai personaggi del dialogo. Lo stesso Cicerone, d'altra parte, afferma che le idee dell'autore, se prestate a grandi personalità del passato, aumentano in autorevolezza e, nella fictio dialogica, acquistano un'efficace drammatizzazione.
  21. The land between border zones of Bosnian regions and Croatia from eastern Slavonia and Dalmatian hinterland was known as vojna Krajina, literally military border of Habsburgic Empire against Turkish Empire and its dangerous raids. Krajina lands become populated after the battle of Mohacz (1526), when Croatian noblemen decided to unite with Austrian crown against Othoman Empire. So in 1578 Rudolph II of Habsburg instituted the military land, named Militärgrenze, and he began to recruit new soldiers from Germans, Ungarians and above all Morlacchi (Vlasi) and Serbian people to defend Croatia inside the Austrian Empire. In particular the immigration of many Serbs, after the end of XVII century, characterized eastern Krajina with a preferential relationship between central Austrian authority and Serbian free soldiers to the detriment of Croatian noblemen not always loyal subjects.
    After the birth of Vojna Krajina Serbian people and Croatians were opposed to each other and different religious confessions increased distrust between Catholic Croatians and Orthodox Serbs. In a similar way Venice from XVII century tried to organize with garrisons the lands of Dinaric Mountains between Dalmatian coasts and Turkish borders under its jurisdiction. These lands become populated by Morlacchi or Vlasi (Latini nigri), of Latin origin (Rumanian lands-Stari Vlah) and belonging to Orthodox Church (Vlasi as Srbi pravoslavci from Krajina) and Morlacchi fought in military border units, called cernide, for Venice against Turks.
    For example the Morlacchian use of Cyrillic types, with their customs, is remembered by Alberto Fortis in his commentary of the famous folk-song Hasanaginica in his essay Travel in Dalmatia (Venice, 1774). The deep cultural originality of this land crossed through centuries and in particular through the tragedies of the XX century (first the genocide policy of Ante Pavelić in the IInd World War, 1941-1945 against Serbs, and then the drastic Croatian war operation called Oluja-Storm, in the recent Yugoslavian war in August of 1995.
  22. L'excursus vitruviano del VI libro del De Architectura (1, 1-11) preso in esame ribadisce con incisività e con un grande repertorio di modelli greci (dalla tradizione ippocratica, attraverso le riflessioni aristoteliche fino all'influenza esercitata da Posidonio d'Apamea, proprio nella prima fase del principato augusteo, la concezione secondo la quale Roma, come la Grecia un tempo, in virtù della sua posizione climatica ottimale e di un disegno provvidenziale palesa nella sua centralità spaziale una indiscutibile vocazione al governo universale sottoforma di fatale missione imperiale. L'Italia, infatti, gode di una posizione territoriale e climatica privilegiata ed una divina mens provvidenziale (affine alla pronoia stoica) le ha permesso il primato sui popoli ed un fatale imperium.
  23. This original travel report describes the stops of an adventurous back journey, from the Turkish capital to Polish borders, carried out by Boscovich from May to July 1762 with English ambassador in Constantinople William Porter. We can read this book as an historical document with many interesting information about countries in Eastern Europe not so much known for western travellers, as Boscovich was in the middle of XVIII century. So through Thracia, Rumelia, Bulgaria and Moldavia, Boscovich analyses an hidden part of great Turkish Empire and becomes eye-witness of Turkish vilajet, slavic villages, Greek orthodox churches, the country of Moldavia until the coasts of the Black Sea with its interesting international trade; during his travel he tries to understand words and realities very different from Western Europe's customs. In fact this report shows in particular a deep interest on linguistic matters and, above all, accurate descriptions about survey of latitude and longitude and the telescope of Dollond. Actually, the reason of this journey was the observation of the passage in the sky of Venus.
    So Boscovich, thanks to this report, can be fit into the rich Italian tradition of travel writers in the Eighteenth century, because his bright observations must be underlined for precision and sharpness.
    In short, the scientist from Ragusa of Dalmatia wrote a little description about the archeological ruins of the town of Alexandria in Troade even 110 years before Schliemann.
  24. L'articolo si propone di sottolineare l'importanza e l'originalità del trattato dell'erudito spalatino Giulio Bajamonti Il morlacchismo d'Omero, pubblicato a Venezia nel Nuovo Giornale Enciclopedico d'Italia nel 1797 e piuttosto trascurato. Esso è un breve trattato di estetica letteraria e di etnografia e risente del vivace contesto culturale di fine Settecento: la filosofia di Vico applicata all'interpretazione dell'epica omerica, l'influsso esercitato dall'Enciclopedia francese, l'ossianismo e l'interesse romantico per l'oralità popolare arcaica di regioni poco conosciute dell'Europa come i Balcani. Fulcro del testo di Bajamonti è la corrispondenza tra il modo di vivere e l'etica dei Greci di Omero e i Morlacchi a lui contemporanei, gli abitanti dell'entroterra dalmata, già oggetto dello studio dell'abate Alberto Fortis nel suo celebre Viaggio in Dalmazia del 1774. Il Bajamonti fu inoltre utile guida per Fortis attraverso le regioni dei Morlacchi e fu probabilmente lui a tradurre la ballata Hasanaginica (proveniente dalla regione di Imotski) che, come è noto, fu tradotta più tardi da Goethe, da Herder e divenne in breve tempo famosa in tutta l'Europa occidentale come esempio di poesia popolare illirica, ovvero in realtà in lingua croata. L'interesse di Bajamonti riguardò anche i guslari, i cantastorie popolari affini ai rapsodi dell'epica greca, che sono stati gli ispiratori di quel fenomeno culturale e di costume europeo del XIX secolo noto con il nome di morlaccomania.
  25. Il Giornale di un viaggio da Costantinopoli in Polonia del gesuita e scienziato di Ragusa di Dalmazia Ruggiero Giuseppe Boscovich, pubblicato nel 1784, descrive il tragitto da lui compiuto nel 1762 dalla capitale ottomana attraverso la Tracia, la Rumelia, la Bulgaria e la Moldavia per giungere infine in territorio polacco. Il resoconto del viaggio costituisce un documento storico di notevole interesse, poiché esso rappresenta una rara e trascurata testimonianza diretta di Paesi dell'Europa orientale ancora poco conosciuti ai viaggiatori occidentali del XVIII secolo. Il Boscovich in tal modo si inserisce a pieno titolo nella ricca tradizione europea degli scrittori di viaggio. La sua opera descrive nei dettagli e con la cura propria di uno scienziato una realtà culturale turco-slavo-romena che a metà ‘700 era ancora marginale agli occhi di un europeo. Solamente un altro resoconto, infatti, di poco precedente il Viaggio in Dalmazia dell'abate Alberto Fortis (Venezia, 1774) aveva tentato di descrivere e con successo i costumi e l'identità culturale delle popolazioni della Dalmazia, diventando un vero caso editoriale internazionale. Ciò che rende, tuttavia, questo Giornale così originale sono le descrizioni geo-etnografiche, le puntuali riflessioni linguistiche e socio-culturali relative ad un mondo considerato altro, come sorprendente, pur nella sua brevità, risulta l'appendice che compare con il titolo Relazione delle rovine di Troia, località visitata da Boscovich nel settembre del 1761, ovvero ben 110 anni prima delle celebri scoperte di Heinrich Schliemann.
  26. Un dibattuto frammento di Posidonio d'Apamea, tramandato da Ateneo (Athen., IV 153e = F 73 EK), si colloca al centro di una vexata quaestio storiografica, relativa alla più antica testimonianza del nome dei Germani nel mondo greco-romano. Esso è stato ampiamente illustrato, ma l'articolo, oltre a riassumere l'attuale status quaestionis, intende proporre un commento in funzione dell'economia complessiva dell'indagine etnografica svolta da Posidonio sui popoli dell'Europa celtica. La questione principale è rappresentata dall'identità di questi Germani, ovvero chi fossero effettivamente i Ghermanoi di cui parla Posidonio. Si propone un percorso testuale attraverso l'esame di Eforo in Strabone ( FgrHist. 70 F 30 = Strab., I 2,28) e Diodoro., V 32, 1-2, di Strabone, IV 4,2 e VII 1,2 e delle osservazioni contenute nella Germania tacitiana, insieme all'esame di una testimonianza offerta dai Fasti triumphales, che per il 222 a.C. ricordano il trionfo di Marcello, e sulla possibilità che a Clastidium potessero essere presenti dei contingenti germanici a fianco dei Galli Insubri.
  27. L'articolo cerca di ricostruire l'importanza dell'influenza esercitata dalle riflessioni di Posidonio d'Apamea nel cosiddetto excursus etnografico del De Architectura di Vitruvio (VI 1, 1-10 = FgrHist. 87FF. 120-122), fondate in generale sull'elaborazione intellettuale aristotelica delle polarità qualitative e sulle opposizioni e corrispondenze climatico-psicologiche di origine ippocratica. In particolare si sottolinea l'uso del pensiero greco da parte di Vitruvio e soprattutto della teoria posidoniana dello thymos applicata ai popoli del Settentrione come base culturale in funzione urbanistico-architettonica nel trattato in questione.
  28. Il saggio documenta la ricchezza di argomenti e di suggestioni contenuta nel trattatello etnografico-estetico pubblicato da Giulio Bajamonti nel 1797 a Venezia. L'erudito spalatino, sulla scia del filone dedicato all'origine dell'epica omerica (Richard Bentley e Hédelin d'Aubignac) e forte del primitivismo vichiano, propone un ardito parallelismo calando Omero in una realtà culturale illirico-"schiavona" , creando così un'interessante analogia tra la tradizione dell'epica achea e la cultura dei Morlacchi di Dalmazia. Il trattato, breve, ma intenso, tocca numerosi punti di acceso dibattito culturale a livello europeo: il fulcro della già diffusa questione omerica, l'origine dei canti rapsodici, l'identità di Omero, la natura dei versi formulari, le caratteristiche della tradizione orale, tutto accostato con versatilità al mondo dei Morlacchi, visti come una sorta di misterioso retaggio arcaico, attraverso la figura del cantore della semplicità de'tempi omerici, ovvero il guzlar, l'aedo balcanico che agli occhi del Bajamonti rappresentava senza dubbio un moderno rapsodo, non molto diverso per ispirazione e forme dall'Ossian letterario reinventato dalla fantasia del Cesarotti.
    - Il sito del CISVA contiene la versione integrale del testo
  29. L'articolo mette a confronto la descrizione dei Morlacchi presente nel Viaggio in Dalmazia del Fortis improntata ad una sentita idealizzazione dell'elemento primitivo della cultura di queste popolazioni con quella, invece, decisamente decisamente razionale e spietata del Gozzi che intende da parte sua ridimensionare l'entusiasmo dell'abate molto vicino alla concezione rousseiana del bon sauvage con un reportage poco incline a marcare lo spirito genuino dei Morlacchi, bensì intenzionato a sottolinaerne l'irrimediabile alterità barbarica senza sconti e compiacimenti.
    - Il sito del CISVA contiene la versione integrale del testo
  30. Saggio dedicato alla figura dell'erudito Giulio Bajamonti, protagonista della vita culturale della Dalmazia di fine Settecento. Il Bajamonti collaborò attivamente con l'abate Alberto Fortis, fornendogli documentazioni e una guida esperta ed erudita nei viaggi attraverso gli impervi territori della Morlacchia e, tra le numerose osservazioni, estremamente interessanti risultano quelle relative ai canti popolari della zona compresa tra il litorale spalatino e Travnik. Attraverso l'esame dei frammenti del diario etnografico Gita in Bossina si delinea la descrizione fornita dal Bajamonti delle esibizioni dei guslari itineranti e si propone una traduzione di alcuni canti regionali croati di argomento amoroso-favolistico. Ad essi si aggiunge un esame del trattatello Il morlacchismo d'Omero, riflessione critico-letteraria del Bajamonti dedicata alla comparazione tra i contenuti e le forme espressiva dell'epica omerica e la tradizione orale dei Morlacchi dell'entroterra dalmata con riferimento alla nascita ed all'evoluzione della moda europea della morlaccomania che tanto esercitò la sua suggestiva influenza su autori quali Nodier, Mérimée, Scott, i fratelli Grimm e Tommaseo.
    - Per una breve presentazione del contenuto si veda questa scheda del volume "Per una storia dei popoli senza note"
    - Presente nel catalogo editoriale della Biblioteca Digitale Casalini
    - Integralmente riprodotto e con una nota di presentazione del testo nella Biblioteca Digitale del CISVA, pp. 1-19, 2011.
  31. Saggio sulle notizie etnografiche ricavabili dai frammenti del trattato Sul Mar Rosso di Agatarchide conservati in Diodoro (III 12-48), Strabone (XVI 4. 5-20) e Fozio (441b-460b). Il lavoro si propone di esporre in sintesi ragionata i principali argomenti etnografici affrontati da Agatarchide quali la caccia agli elefanti nell'Egitto meridionale, la descrizione delle coste del Mare Eritreo, le miniere d'oro e i minatori della Nubia, le usanze primitive dei popoli del golfo arabico e l'influenza dei climi sul loro comportamento, il bios theriodes dei popoli marginali e la condizione privilegiata dei Sabei ai confini del mondo ed infine la questione del colore nero della pelle degli Etiopi. Tra antropologia e interesse geografico di matrice ionico-erodotea, attraverso il contributo ippocratico ed il pensiero aristotelico, la descrizione di Agatarchide riflette un atteggiamento tipico di un intellettuale greco di età ellenistica e di ambiente tolemaico nei confronti del mondo e dell'alterità barbarica.
    - Citato e recensito nel sito del CISVA (Centro Interuniversitario Studi sul Viaggio Adriatico)
    - Recensione a cura di Mariana Cocciolo nella Biblioteca Digitale del CISVA
    - Recensione in Annèe Philologique 79-00100.
  32. Articolo dedicato al commento del poemetto Navis Ragusina del Gagliuffi (1819) che offre un affresco appassionato e nostalgico della grandezza appena dissolta della prestigiosa e ricchissima repubblica marinara di Dalmazia dopo gli eventi legati all'ascesa europea di Napoleone. Attraverso rimandi classici e modelli letterari dell'idillio encomiastico il Gagliuffi presenta una novella nave Argo simbolo senza tempo di un orgoglio aristocratico raguseo simile a quello di Venezia o di Genova che si arricchisce di una dettagliata rassegna di numerose glorie di Ragusa celebrate come fulgidi medaglioni da ricercati e preziosi versi esametri virgiliani.
  33. Relazione delle attività didattiche svolte all'interno del Progetto di partenariato educativo e culturale MuMa- Liceo Classico A. D'Oria per gli anni scolastici 2005-2006 e 2006-2007, attraverso percorsi storico-letterari attinenti al mare (le vie di comunicazione del Mediterraneo, Genova e le sue colonie marittime, il lessico del mare e della navigazione nella letteratura greca e in quella latina, il mito e il mare negli episodi mitologici delle decorazioni del Palazzo Centurione Doria di Genova- Pegli, le grandi esplorazioni geografiche ed il colonialismo europeo attraverso la visita del Castello D'Albertis- Museo delle culture del mondo in Genova.
  34. Prolusione di Luciano Canfora presentata in occasione del settantesimo anniversario di costruzione del Palazzo del Liceo Ginnasio A. D'Oria di Genova (novembre 2007), trascritta, annotata e curata con rifermenti testuali e di fonti: recensione del volume di L. Canfora, La prima marcia su Roma, Laterza, Bari, 2007, dalla marcia su Roma di Ottaviano a quella delle camicie nere di Mussolini con confronti e paralleli storici e culturali.
  35. Sintetica nota relativa all'uso celtico di ingaggiare un duello mortale tra guerrieri per la dimostrazione del proprio valore all'interno del clan in occasione di feste e banchetti. I campioni celti combattono per la parte migliore, ovvero la carne più pregiata. Confronto tra un passo posidoniano in Ateneo e Iliade, VII 321 e paralleli con passi tratti da saghe medievali gaeliche (descrizione del curad-mír).
  36. La musica celtica e gli strumenti dei Celti continentali sono analizzati in questo saggio dedicato alla rassegna di fonti documentarie di età ellenistica ed imperiale(da Diodoro/Posidonio a Tacito) che descrivono soprattutto i cantori presenti ai banchetti, i bardi, e la tipologia dei loro canti e delle loro esibizioni pubbliche di fronte ai capi dei clan, nonché la loro riconosciuta importanza sociale, e sporadicamente le attestazioni, anche se scarse e frammentarie, di descrizioni di strumenti musicali, confrontati con reperti archeologici affini di ambiente celtico continentale ed insulare.
    - Scelto come bibliografia d'esame dell'insegnamento di Archeologia musicale (prof. Donatella Restani) del corso di Laurea magistrale in Discipline della musica del Dipartimento di Musica e Spettacolo dell'Università di Bologna per l'a.a. 2008-2009.
    - Recensione in Annèe Philologique 78-04615.
  37. Itinerario cristiano in questo lembo balcanico che si affaccia sul Mediterraneo, il lavoro è dedicato alla storia del Montenegro da Teodosio fino al XX secolo presentata in estrema sintesi e con il denominatore comune dell'anima cristiano ortodossa di cultura bizantina del Montengro interno legato storicamente alla Serbia e alle sue vicende e di quella cattolico-romana del litorale e tutta rivolta all'Occidente latino.
  38. Analisi delle fonti greche alla base dell'excursus storiografico dedicato da Ammiano ai Galli nelle sue Res gestae. Da Timagene di Alessandria a Posidonio in Ateneo, Diodoro e Strabone il patrimono delle fonti ammianee si estende includendo tanto l'apportodella Vita di Mario plutarchea, quanto innegabili ascendenze cesariane e tacitiane che si fondono con il filone geo-etnografico della storiografia greca, senza dimenticare un modello diretto, antico, ma presente con le sue numerose digressioni geografiche, costituito dalle Historiae di Sallustio.
    - Citato nel repertorio bibliografico di DAPHNE (Données en Archéologie, Préhistoire et Histoire sur le Net).
    - Recensione in Annèe Philologique 78-00176.
  39. Il testo propone una rassegna di esempi dell'ampia interpretatio Homerica utilizzata da Posidonio d'Apamea per descrivere i Celti di Gallia, attingendo ai modelli letterari offerti dai poemi omerici per quanto riguarda le armi e gli usi militari. Le fonti posidoniane sono vagliate con un confronto sistematico con reperti archeologici celtici di II e I secolo a.C. e con puntuali descrizioni presenti nelle saghe gaeliche medievali che presentano forti affinità con la cultura materiale celtica arcaica.
    - Recensione in Annèe Philologique 77-04878.
  40. Percorso storico-letterario attraverso le principali fonti geografiche e storiografiche che permettono di ricostruire la cognizione della regione balcanica nella cultura greca e latina. Dal Periplo di Scilace alla Tabula Peutingeriana e fino ai capitoli del de Administrando Imperio di Costantino Porfirogenito dedicati alle coste adriatiche orientali si delinea il quadro delle conoscenze antiche relative al territorio montenegrino anche con il prezioso contributo del volume di Miras Martinovic Pietre di Montenegro (Putevi Prevalise) che si offre come un viaggio memoriale nella storia remota del Montenegro illirico e greco-romano.
  41. Saggio dedicato alla creazione e allo sviluppo del modello antropologico interpretativo del carattere distintivo dei popoli del settentrione attraverso l'analisi delle fonti greche da Erodoto ad Ippocrate, fino alle riflessioni di Platone ed Aristotele. La figura dello scienziato e storico Posidonio riveste un'importanza decisiva in quanto convoglia in un unico sistema storico-filosofico il sapere di matrice stoica con il recupero di remote categorie di origine omerica per definire i tratti delle popolazioni dell'Europa nord-occidentale. Il filone ben radicato dell'influenza esercitata dal clima sulla formazione dei principali caratteri etnici, inoltre, dalle fondamentali osservazioni di Ippocrate, porta il ragionamento fino al de Architectura vitruviano che, in conclusione, compendia nell'ambito della cultura latina un'antica tradizione scientifico-etnografica di matrice greca.
    - Inserito nel programma di esame del corso di Storia delle Esplorazioni geografiche del Prof. F. Surdich (Università di Genova).
  42. Analisi delle feste e dei banchetti nella società celtica descritta dalle fonti greche intesi come occasione colletiva per una generale ridistribuzione dei beni e per una definizione della gerarchia dei ruoli dei capi e per il consolidamento del loro prestigio e dalla loro auctoritas, attraverso la soddisfazione delle masse popolari clientelari. Posidonio d'Apamea è sempre fonte insostituibile per il mondo celtico visto dai Greci, ma insieme ad esso si prende in esame anche Filarco ed ampio spazio è dedicato ai costumi germanici descritti da Tacito e riconducibili ad una simile matrice culturale. La seconda parte del testo è dedicata al potlatch ed alla distribuzione delle ricchezze nel sistema economico dei doni: lo scambio di beni e di doni costitusce la base del potere del capo e la generosità del principe celta serve per mantenere il conseso popolare ed il sostegno militare.
  43. Rassegna documentaria delle fonti greche e romane relative ai druidi: dalle più antiche testimonianze di Diogene Laerzio, alla tradizione pitagorica fino all'excursus gallico di Timagene in Ammiano Marcellino. I druidi vengono presentati come sacerdoti e sapienti appartenenti ad un mondo arcaico e primitivo degno di rispetto e di venerazione fino alla descrizione posidoniana (Diodoro e Strabone) che divide con chiarezza i bardi dai vati e dai druidi veri e propri. Le ampie testimonianze cesariane sono confrontate con i modelli greci fino al cenno contenuto in Plinio il Vecchio che nella sua icastica brevitas consegnerà idealmente la figura del druida-mago all'immaginario collettivo dell'occidente.
    - Recensione in Annèe Philologique 76-07410.
  44. Il saggio nasce da una riflessione dedicata allo studio di Marcel Mauss sul suicidio celtico in un frammento di Posidonio e prende le mosse dall'analisi antropologica che ne aveva definito i tratti specifici, sottraendo le descrizione alla facile classificazione in un repertorio di mirabilia etnografiche, conferendole invece la sua specificità antropologia. Partendo dal concetto di potlatch si analizza l'episodio cercando di comprenderlo e di inserirlo all'interno del sistema e del codice etico tipico delle società celtiche per cui il suicidio può rappresentare l'ultimo stadio per sfuggire ad una competizione parossistica dalla quale non si sa come uscire. L'analisi procede con il commento delle fonti greche e latine che riportano il comportamento delle clientele celtiche, dei soldurii devoti e delle milizie personali legate da vincoli di dubbidienza e dedizione al capo. Un confronto con il mondo gaelico, attestato dalle saghe medievali, conferma la specificità dei codici etici celtici attraverso il tempo dal mondo antico (Celti continentali) alla testimonianza del Fled Bricrend (Celti insulari).
  45. Recensione del volume di L. Radif che punta attraverso un elaborato percorso esegetico alla ricostruzione di quel nebuloso e complesso sostrato mitologico che costituisce il repertorio del materiale narrativo al quale l'Iliade fa continuo riferimento con cenni e citazioni esplicite e spesso implicite a saghe e cicli mitico-narrativi ed episodi e biografie leggendarie che di volta in volta emergono dai versi del poema.
  46. Ricostruzione del quadro etnografico relativo ai Cimbri attraverso le testimonianze storiografiche di età ellenistica, prevalentemente di origine posidoniana e contenute in Strabone, Diodoro e Plutarco. I Cimbri emergono come un popolo nordico contraddistinto, secondo il topos descrittivo tipico dell'etnografia greca, da ferocia e brutalità barbarica e molti elementi contribuiscono a delinearne i tratti distintivi: le armi, le categorie antropologiche, la presenza delle donne alle fasi dei combattimenti, i riti religiosi sanguinari, i costumi militari e la pratica dell'omosessualità, tutti suffragati da numerosi riscontri anche nella storiografia latina e in puntuali corrispondenze di carattere archeologico.
    - Inserito nel programma di esame del corso di Storia delle Esplorazioni geografiche del Prof. F. Surdich (Università di Genova).
  47. L'origine dei Cimbri costituisce un interessante argomento della geografia antica attestato dai frammenti dei Kimbrikà posidoniani tramandati nella parte iniziale del VII libro di Strabone e nell'excursus etnografico della Vita di Mario di Plutarco. Resoconti geografici e testimonianze storiche si sovrappongono dall'ipotesi di catastrofiche maree che avrebbero costretto i Cimbri a grandi migrazioni nell'Europa settentrionale, all'identificazione diodorea dei Cimbri con i Galati, ovvero Celti del nord con la questione tuttaltro che chiara del rapporto tra Cimbri e Cimmeri, fino al problema rappresentato dal noto frammento posidoniano conservato in Ateneo IV 153e che riporta la prima testimonianza dell'etnonimo Ghermanoì di cui si tratta ampiamente nell'ultima parte del saggio.
    - Articolo citato in O. Wattel de Croizant-G.A. Montifroy, Du Mythe à la géopolitique: Europe entre Orient et Occident. Ed. L'Age d'Homme, Lausanne, 2007, p. 43.
    - Recensione in Année Philologique 74-05396.
    - Adottato come testo d'esame per il II modulo del corso di insegnamento di Antichità greche e romane (I), prof. Paola Donati Giacomini e dott. Sara Giurovich del Dipartimento di Storia Antica dell'Università degli Studi di Bologna negli a.a. 2006-2007 e 2007-2008.
  48. Il testo presenta una rassegna delle fonti letterarie e storiografiche relative al mitico popolo al di là del vento del nord nella tradizione greca dai primi tentativi di localizzazione geografica erodotea alla questione dell'identificazione degli Iperborei con i Celti della Britannia come si desume dalla testimonianza di Ecateo di Abdera. Attraverso le descrizioni di Timeo ed il confronto con la tradizione etnografica latina si conclude con la definizione di un legame storiografico tra gli Iperborei insulari tra storia e mito e i Celti di Britannia eredi del mito iperboreo.
    - Inserito nel programma di esame del corso di Storia delle Esplorazioni geografiche del Prof. F. Surdich (Università di Genova).
  49. Saggio dedicato al confronto tra l'utilizzo del modello omerico nella storiografia etnografica di età ellenistica e in quella di fine Settecento attraverso l'esame dei frammenti posidoniani relativi al mondo celtico e a quelli di Timeo di Tauromenio relativi ai Britanni e delle testimonianze dell'illuminista Volney sugli Indiani Miami e quelle dell'abate Fortis e di Carlo Gozzi a proposito dei Morlacchi della Dalmazia. Il saggio propone un parallelo tra l'utilizzo dell'archetipo letterario omerico nell'antichità per la descrizione di popoli stranieri ancora ad uno stadio primitivo dell'evoluzione storica e la ripresa del modello classico adottato nel XVIII secolo per sottolineare, però, i tratti di una selvatichezza barbarica comune tanto agli Indiani americani quanto al mondo slavo dell'entoterra dalmata. Il filo rosso della tesi è costituito dall'applicazione più o meno sistematica di tutta una serie di categorie antropologiche e sociali desunte dalle suggestioni esercitate dal mondo acheo dell'epica omerica da parte di storici eruditi d'età ellenistica quali Posidonio e Timeo, ma anche da parte di viaggiatori settecenteschi che, tuttavia, pur a tale distanza di tempo, dimostrano di non potere fare a meno di attingere a quel formidabile repertorio culturale costituito dall'epica greca per impostare ognuno indipendentemente convincenti paralleli con realtà tanto lontane e ben difficilmente paragonabili quali il mondo degli Indiani Miami descritti da Volney e i Morlacchi del Viaggio in Dalmazia di Fortis e delle Memorie inutili di Carlo Gozzi.
    - Recensione in Année Philologique 73-08074.
  50. Analisi delle diverse forme di dipendenza diffuse presso le tribù celtiche dall'indagine di Posidonio d'Apamea alla testimonianza cesariana. La trattazione procede attraverso tre fasi: l'esame del seguito clientelare dei parasitoi e dei bardi, la clientela degli ambacti-therapontes e la figura del magu- con la polemica morale posidoniana rivolta contro la cosiddetta chattel slavery. I parasitoi dei clan celtici presentano notevoli analogie con quelli della tradizione epico-omerica, la non chiara figura degli ambacti (corpo militare d'élite o massa popolare a servizio di un patrono) offre la possibilità di un confonto con il comitatus germanico tacitiano e con i soldurii devoti descritti da Cesare ed infine il dibattito alimentato in pieno I secolo a.C. sull'identità dello schiavo-merce in ambiente gallico permette di affrontare la questione delle dipendenze servili anche dal punto di vista più propriamente filosofico e non più solo socio-economico.
    - Saggio citato in nota in T.Gnoli-F. Muccioli, Incontri tra culture nell'oriente ellenistico e romano, Milano, 2007: F. Muccioli, La rappresentazione dei Parti nelle fonti tra II e I a.C., p. 105, nota 77.
    - Recensione in Année Philologique, 73-12415.
    - Citato nel repertorio bibliografico di DAPHNE (Données en Archéologie, Préhistoire et Histoire sur le NEt).
  51. Lavoro dedicato all'utilizzo sistematico del parallelo omerico come archetipo culturale per la descrizione degli usi e dei costumi dei Celti nei frammenti etnografici di Posidonio d'Apamea. Per definire i caratteri salienti della società celtica Posidonio propone il confronto con il mondo dell'epica achea al fine di delineare un quadro di alterità compatibile, però, con un'interpretatio Graeca verosimile ed attendibile, per cui i Celti a lui contemporanei vengono descritti sul modello storico-antropologico tucidideo come i Greci primitivi dell'epica. Così gli usi alimentari, il banchetto, la parte del campione e i duelli, i cantori e gli aedi delle feste, l'ospitalità barbarica, le armi, l'antropologia e gli elementi del carattere (l'irascibilità, l'impulsività ed il coraggio, la fedeltà), la clientela devota, la figura del druido, sacerdote-filosofo, la profonda lealtà dei guerrieri unita ad una selvatica irrazionalità sono tutti elementi che costituiscono un complesso affresco barbarico che viene presentato da uno storico greco del I secolo a.C. ai suoi connazionali e alla classe dirigente romana come una tappa del percorso evolutivo dell'umanità. Chiude, infine, una parte in cui l'archetipo omerico come ideale è presente anche in Timeo di Tauromenio per i Britanni, però in un senso decisamente utopistico e quasi anticipatore, invece, dell'immagine moderna del bon sauvage con una marcata tendenza alla descrizione astorica di un popolo lontano e marginale non contaminato dalla civiltà.
    - Citazione del saggio in Byrn Mawr Classical Review 2005. 09. 75 da M. Finkelberg, Tel Aviv University.
    - Testo disponibile in edizione integrale in books.google.it.
    - Citazione in nota in T. Gnoli-F. Muccioli, Incontri tra culture nell'oriente ellenistico e romano, Milano, 2007: F. Muccioli, La rappresentazione dei Parti nelle fonti tra II e I a.C., p. 105, nota 77.
    - Recensioni in Année Philologique 73-02894 e 73-03058.
    - Citazione in E. Kistler, Gigantisierte Kelten als Bosewichte: Ein Feindbild der Griechen, in Kelten-Einfalle an der Donau. Akten des Vierten Symposiums deutschspachiger Keltologinnen und Keltologen, Linz/Donau, 17-21. Juli 2005, pp.351 note 26 e 28.
  52. - Ricostruzione del banchetto celtico in base alle fonti rappresentate dalle descrizioni contenute nelle Storie del filosofo e scienziato Posidonio d'Apamea (I secolo a.C.). Il costume alimentare e sociale dei Celti dell'Arvernia riprodotto attraverso la tipologia dei cibi e delle bevande, il vino e la birra, il rituale dei guerrieri attorno alla tavola del festino, gli usi, gli arredi e gli oggetti del banchetto confrontati con le testimonianze archeologiche ed artistiche dei vasi e dei crateri d'ambito etrusco e greco dell'area della colonizzazione focea della costa francese. L'articolo propone inoltre un confronto lessicale-mitologico tra il mondo greco-omerico e quello celtico alla luce delle descrizioni contenute nelle saghe gaeliche medioevali, soprattutto nel celebre Fled Bricrend.
  53. Proposta per un percorso didattico liceale che presenta una rassegna di fonti letterarie e di documentazione storiografica relativa alla formazione del concetto di barbaros e di xenos nella cultura greca dall'età omerica a quella ellenistica. In particolare all'inizio il saggio prende in esame il passaggio dal significato neutro di barbaros di età arcaica alla ideologizzazione dell'antitesi Greco-Barbaro in funzione anti-persiana fino alla definizione del pregiudizio contro lo straniero tipico di età classica. La seconda parte è invece dedicata alla varietà di posizioni del IV secolo a.C. fino all'ampliarsi dell'orizzonte geo-etnografico greco dal periodo delle spedizioni di Alessandro e alla piena consapevolezza dell'esistenza di una saggezza barbarica tanto lontana quanto originale nei contenuti tipica dell'età ellenistica.
  54. Recensione del libro Pietre di Montenegro (Putevi Prevalise) del giornalista e romanziere montenegrino Miras Martinovic. La bellezza della narrazione si accompagna alla rigorosa scelta dei simboli mitici e dei personaggi storici che vengono a costituire una vera rassegna di suggestivi medaglioni narrativi tra poesia, archeologia, storia e semplice incanto dell'affabulazione descrittiva alla scoperta del Montenegro, terra fascinosa, posta in un lembo di Mediterraneo e montagne impenetrabili tra memorie mitiche e storiche di Illiri, Greci e Romani. Alla recensione si unisce una raccolta di fonti storiografiche greche e latine commentate che costituiscono una sorta di appendice documentaria.
    - Recensione in Pobjeda (Belgrado), p.12 del 25/01/2002.
    - Recensione in Vijesti (Belgrado), p.14 del 14/06/2001.
  55. Recensione con commento storico di Pietre di Montenegro (Putevi Prevalise) del giornalista e romanziere Miras Martinovic, una delle rare testimonianze letterarie della cultura montenegrina in Italia, che delinea un suggestivo percorso archeologico e storico delle civiltà illirica, greca e romana di quella originale regione balcanica prima dell'arrivo delle popolazioni slave tra i fiordi delle bocche di Cattaro e le montagne fitte di boschi del Durmitor. Racconti distribuiti in una sapiente architettura narrativa ambientata tra principesse illiriche, meravigliosi miti greci e prefetti romani si snodano con l'adozione di un doppio ed elegante registro di scrittura diviso tra le fabulae di un vero e proprio poemetto in prosa e l'erudito apparato esplicativo storico, lessicale ed archelogico.
  56. Indagine dedicata alla ricostruzione delle conoscenze relative ai territori della Keltiké nelle fonti greche dalle prime testimonianze (diffusione e dislocazione dei Keltoi dell'Europa da Ecateo di Mileto all'Ora maritima di Avieno e il Periplo di Scilace di Carianda fino ad Erodoto) alle varie testimonianze di Pitea di Marsiglia, Timeo, Eforo e Polibio. Contributo geografico e scientifico di Posidonio di Apamea, attraverso le testimonianze di Ateneo, Strabone, Diodoro e Plutarco fino alla tradizione etnografica latina e la divisione geografica ed istituzionale augustea dei territori conquistati da Cesare.
    - Inserito nel programma di esame del corso di Storia delle Esplorazioni geografiche del Prof. F. Surdich (Università di Genova).
  57. Storia dell'insediamento dei Morlacchi o Vlasi, i granicari, uomini di confine, dei territori delle krajine croate a ridosso della Bosnia ottomana a difesa permanente dell'Impero d'Austria. L'articolo si propone di illustrare la costituzione ed il consolidamento delle aree popolate dai Morlacchi o Mavrovlachoi nei territori della Dalmazia centrale tra Venezia e l'Austria con i loro ordinamenti, statuti e costumi alla luce delle descrizioni etnografiche presenti nel Viaggio in Dalmazia di Alberto Fortis di fine Settecento fino ai tragici avvenimenti dei recenti conflitti jugoslavi e più precisamente all'operazione militare croata Oluja dell'agosto 1995.
    - Testo disponibile in edizione integrale nel sito www.italiaortodossa.it
  58. Un frammento, quasi un flash, dedicato allo spirito ed alla cultura italiana della Dalmazia dall'originaria matrice latina, Dalmatia antemurale Christianitatis, all'impronta indelebile del dominio veneziano, riscontrabile nell'architettura, nella lingua e nella letteratura, fino alle complesse vicende dei secoli XIX e XX tra Austria e identità nazionale croata.
  59. Analisi di uno dei passi più significativi e discussi delle Storie di Polibio (XXXVI,9), in cui sono riportati i logoi, i giudizi e le opinioni formulati in ambiente greco riguardo all'atteggiamento tenuto dai Romani nei confronti di Cartagine durante la III Guerra Punica. Vengono commentate le quattro diverse riflessioni dell'opinione pubblica greca in merito: 1) inequivocabile natura di necessità pragmatica del maturo imperialismo romano di fronte ad una futura minaccia nemica rappresentata da Cartagine, 2) implacabile atto d'accusa rivolto verso la progressiva degenerazione morale della politica estera romana in senso utilitaristico, 3) convinzione che i Romani in caso di necessità erano facilmente disposti in politica estera a passare a metodi molto meno nobili dei principi teorici e più convenienti per il raggiungimento dell'obiettivo finale, 4) discussione sul contenuto giuridico della epitropé-deditio imposta a Cartagine e sulla natura del concetto politico-culturale di fides e di bellum iustum.
    - Recensione dell'articolo in Annèe Philologique 70-04352.
    - Citato nel repertorio bibliografico di DAPHNE (Données en Archéologie, Préhistoire et Histoire sur le NEt).
  60. Breve relazione sui rapporti commerciali e culturali instaurati tra Genova e la Repubblica di Ragusa (Dubrovnik) dal XVI al XVIII secolo attraverso la storia del Consolato raguseo posto all'interno della Chiesa domenicana di Santa Maria di Castello in Genova. Due repubbliche marinare aristocratiche che rivelano inaspettate analogie e una secolare e fruttuosa alleanza ed amicizia in funzione antiveneziana.

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